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User / .marco.ortolani.kuemmel. / Sets / Warehouse: Short Stories
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N 30 B 15.4K C 90 E Feb 9, 2010 F Feb 9, 2010
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Viaggio sempre all'ora di cena.
Non trovo traffico e la strada si dipana rarefatta tra le tenebre attraverso una campagna in avanzato stato di abbandono. Giunto ai margini della zona mi accerto di non essere seguito e deciso svolto a destra. Attraverso la palude nebbiosa, infine salgo lungo la umida collina. Una fredda serata di dicembre con il cielo sgombro di nuvole: si distingue nitidamente la luna e pure qualche rara stella.
Oltrepassato il cancello mi si fanno incontro i cani. Sui miei vestiti annusano tracce di Mavros, il mio cane nero che stasera è rimasto a casa. Il giovedì trasmettono il suo radiodramma preferito.

Appena entro in casa noto immediatamente imbarazzanti lampadari barocchi appesi nelle varie stanze: una novità assoluta, mai visti prima. Matteo mi spiega che ha aiutato un lontano parente in un piccolo trasloco e che sarebbero altrimenti finiti in qualche discarica, tristemente abbandonati. Matteo ha sostituito tutte le lampadine con vere candele, sono così diventati una sorta di candelabri barocchi, pieni di inutili cristalli.
Entriamo nel piccolo salotto indiano. Uno di quei lampadari riciclati pende anche al centro di questa stanza. Fa freddo. Molto freddo. “Guarda che roba” mi fa notare Matteo - mentre meticolosamente accende le candele una ad una - “ne sarebbe fiera Eleonora Duse”.
La luce di otto candele è comunque debole e lascia solo intravedere i nostri lineamenti, indovinare gli oggetti distribuiti nella stanza. Nella penombra e nel gelo prendiamo il nostro consueto thè, e questa atmosfera soffusa lo rende un gesto ancora più rituale del solito.

“Ho una cosa da farti assolutamente vedere” dice Matteo, e mi mostra un test pressing di The Madcap Laughs. L'ha comprato sabato scorso alla fiera del disco di Reading per qualche centinaio di sterline. Dentro ci sono due vinili, sono incisi soltanto su un lato. Le etichette sono completamente bianche, solo A e B scritti a penna blue. Mi dice che ancora non li ha ascoltati. “Bene” dico sorridendo “chissà cosa ti hanno rifilato questa volta”.
Non posso fare a meno di riguardare la copertina. Resta una delle mie preferite di sempre. La stanza vuota, solo un vaso con dei fiori appassiti appoggiato sul pavimento in legno, Syd con i capelli arruffati, a torso nudo e con i pantaloni bordeaux, è piegato sulle ginocchia e guarda dritto dentro l'obiettivo. Syd dipinse i listelli del pavimento per l'occasione, li fece a strisce: proprio quel che si dice genio e sregolatezza, un vero artista. Brilla ancora pazzo diamante.
Adesso Matteo prende il vinile con su scritto B e lo mette sul piatto, la puntina scende sul primo solco: è proprio Octopus, .ed il suono è profondo, potente, talmente presente che in questo preciso momento Syd in persona si materializza nella stanza; dietro di lui Hopper al basso e Wyatt alla batteria. Come fossero davanti a noi, come fermare il tempo ed annullare quaranta anni in un solo attimo. Suonano con convinzione, senza sbavature, sicuri di quanto stanno eseguendo.

A tarda notte guido lentamente verso casa. Adesso non ho alcuna fretta di arrivare.
Scendo lungo le dolci curve della collina, poi attraverso di nuovo la palude: qualche banco di nebbia mi viene incontro e la luna adesso è alta nel cielo completamente oscurato. Lasciata dietro di me la campagna imbocco la superstrada deserta, quella il cui contorto tracciato è stata disegnato da qualche ingegnere in acido, magari dallo stesso Syd.
Ed è come se in realtà non fossi io a guidare, ma qualcun altro lo facesse per me. Allora i miei pensieri possono finalmente correre a Eleonora Duse, al suo sguardo febbrile e vitreo, e sempre volto altrove. E allora mi dico che in fondo - se poi le parole mancheranno - potremo sempre guardarci negli occhi, nel silenzio di una qualche gelida stanza e al pallido chiarore dei candelabri. Ed ecco che inattese, come arrivassero da un tempo remoto, sento risuonare dentro di me queste parole:

Lean out your window, golden hair
I heard you singing in the midnight air
my book is closed, I read no more
watching the fire dance, on the floor
I've left my book, I've left my room

For I heard you singing through the gloom
singing and singing, a merry air
lean out of the window, golden hair


© Marco Ortolani Kuemmel
[poesia finale: James Joyce, Chamber Music, 1907]

Tags:   divina Eleonora Eleonora Duse short stories Syd Barrett The Madcap Laighs Octopus Matteo candelabri Hugh Hopper Robert Wyatt test pressing Reading Mavros radiodramma vinile racconto mano hand donna woman crazy diamond James Joyce chamber music golden hair Klimt Toscana Tuscany marco ortolani kuemmel

N 8 B 1.3K C 56 E Aug 16, 2009 F Dec 22, 2009
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Dopo i trenta mi svegliai una mattina che il sole era ormai alto e già aveva allontanato quel rigido torpore di gelo dalla terra. Come il senso di un incubo che mi era scivolato addosso, in bocca uno strano sapore, dentro come una strana voglia di pianto. Dopo anni all'improvviso un dimenticato desiderio di ritorno a casa si era stranamente e con forza impadronito di me.

Che ero stanco di giacigli improvvisati tra le foglie e di misere minestre in polvere riscaldate con mezzi di fortuna. Che i colori della campagna già cambiavano ma la primavera non ne voleva sapere di arrivare.
Così raccolsi le poche cose che ancora tenevo con me, le pressai dentro lo zaino militare e mi misi in cammino. Per due giorni marciai lungo il sentiero di crinale senza incontrare anima viva, la mattina del terzo riconobbi il torrente e la quercia ed allora senza esitare piegai verso sud-ovest attraverso un fitto bosco. A mano a mano che procedevo il paesaggio si faceva meno selvatico e più familiare.

Quello stesso pomeriggio, quando il sole era già sceso dietro l'orizzonte, in fondo alla vallata vidi finalmente la casa, tra le vigne. Mi avvicinavo ma non vedevo nessuno. Quando arrivai ad un centinaio di metri scorsi finalmente una debole luce, filtrava attraverso la finestra di cucina. Spinsi con la mano e la porta era stranamente aperta. Chiamai ma nessuno rispose . Mi guardai intorno e tutti gli oggetti, nonostante un grigio senso di polvere, erano al loro posto, esattamente dove mi sarei aspettato che fossero.
Poi uno strano ma confortevole senso di calore alle mie spalle. Mi voltai ed il fuoco ardeva lento dentro il camino invaso di cenere.


© Marco Ortolani Kuemmel

Tags:   cenere short stories ash marco ortolani kuemmel

N 80 B 10.8K C 38 E Nov 16, 2008 F Apr 16, 2009
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A quel tempo Scranno non dormiva. Mai. Pareva un fantasma.
Trascorreva le sue notti al teatro dell'acqua oppure ubriaco su qualche vecchio divano gorato di fortuna. All'alba saliva sulla A112 gialla e percorreva i cinquanta chilometri che lo separavano dalla compagnia assicurativa, il posto dove faceva finta di lavorare. Per non addormentarsi al volante, talvolta si era risvegliato improvvisamente nella corsia opposta con qualche autotreno che suonava alla disperata, adagiava una bacinella d'acqua sul sedile del passeggero e nei momenti critici si faceva impacchi sulle palpebre con pezzuole di carta igienica. Sosteneva che fosse un metodo degno di essere brevettato.
Prima di entrare al lavoro poi, per mezzo di chili di brillantina, trasformava la cresta in una sorta di riporto, si toglieva i dodici orecchini, e cercava di cancellare le tracce di eyeliner dagli occhi.
La sera tornava in città per una nuova nottata brava e così via.
Il venerdì sera poi saliva sul treno per andare a trovare la fidanzata a Stoccarda; il lunedì mattina era di nuovo a Santa Maria Novella. Immaginavo che quel treno fosse l'unico posto al mondo dove potesse - almeno per brevi tratti - chiudere gli occhi.

Questo regime di vita infernale forse contribuì nel suo delirio alla continua ricerca del nuovo gruppo emergente d'oltremanica. Leggeva tutti i settimanali inglesi e conosceva qualsiasi band londinese che avesse fatto anche un solo concerto in qualche piccolo club davanti a venti persone. Inviava le sue wanted list a negozietti di dischi sperduti nei più disparati angoli d'Inghilterra e così via. Sembrava quasi lo facesse di lavoro.
Solo che ad un certo punto accadde una cosa tremenda, imprevedibile.
Da qualche parte, per vie molto traverse e ancora oggi abbastanza oscure, apprese dell'esistenza di una versione picture dell'esordio discografico di uno dei suoi gruppi preferiti, i Bauhaus. Si trattava, o almeno così si mormorava, di un Bela Lugosi in vinile bianco con sopra un enorme pipistrello nero.
In breve questo divenne l'argomento principale delle serate al teatro dell'acqua. Tutti ne parlavano e per Scranno era diventata una vera ossessione. Non che non ci dormisse la notte, non dormiva comunque, ma doveva assolutamente reperirlo. Ne aveva fatta una seria malattia.

Nel giro di qualche giorno venne fuori che in quella Firenze degli anni ottanta due sole persone possedevano quell'oscuro feticcio.
Uno era un certo Piero, l'altro era il perfido Mocassato. Piero da parte sua mise subito le cose in chiaro: per niente al mondo si sarebbe disfatto di quel dodici pollici, il pezzo più prezioso della sua collezione privata, dischi tzigani a parte.
Mocassato fu più vago e dopo averci pensato per un paio di giorni fece finalmente la sua richiesta: l'unica cosa per la quale avrebbe ceduto il raro picture era la altrettanto fantomatica valigetta dei Throbbing Gristle, un oggetto talmente raro che nessuno lo aveva mai visto. Si sapeva solo che conteneva ventisei nastri con registrazioni risalenti agli albori del gruppo. Mi immaginavo che tortura tremenda doveva essere ascoltarsi ore ed ore di rumori di catene di montaggio, segherie, sirene, chiavi inglesi, ingranaggi, allarmi. Ma Mocassato era abituato a questo ed altro.
Scranno scrisse a tutti i suoi negozietti ma niente valigetta. Pareva che ne esistessero pochissimi esemplari, forse una cinquantina sparsi per il globo, e che la quotazione fosse già allora astronomica.
Scranno non ne faceva comunque un problema di soldi, il fatto è che proprio non c'era verso di trovarla.
A sentire parlare in continuazione di quella valigetta mi scoprivo a sorridere da solo, era più forte di me. Immaginavo lo scambio in piena notte al chilometro ventisette della strada statale, Scranno che porgeva la valigetta e Mocassato che finalmente con un leggero cenno della testa invitata il suo ostaggio a scendere dalla macchina. A quel punto Bela Lugosi in persona sarebbe apparso, vecchio e un po' paralitico, bianco in volto e con il mantello nero, e a passi incerti avrebbe raggiunto il suo liberatore Scranno.

Ma la realtà era assolutamente diversa. E così una sera Scranno, disperato, dopo avere ricevuto due di picche da tutti i negozi del regno unito e dopo avere per un attimo pure dubitato della reale esistenza di quella valigetta, preso da un comprensibile sconforto, bleffò spudoratamente.
Prese Mocassato da una parte e gli disse che quella stronza di valigetta l'aveva trovata, che l'indomani avrebbe finalmente ricevuto il pacco, che tirasse quindi fuori quel picture del cazzo una volta per tutte. Fu allora che Mocassato, rosso in volto e con voce tremante, ammise che quel disco non lo aveva, anzi a dirla tutta non lo aveva neppure mai visto. Si era inventato tutto. Scranno rimase senza parole, lo avrebbe volentieri picchiato a sangue ma rimase senza parole.
Poichè era diventata una questione di principio alla fine Scranno scrisse a Peter Murphy. La risposta fu perentoria: il picture non esisteva, non era mai esistito, non era mai uscito.
Ma per qualche strano gioco del destino anni dopo qualcuno in Italia pubblicò un Bela Lugosi picture taroccato che era l'esatta riproduzione di quello che Scranno si era allora immaginato.
Eppure vi assicuro che non fu Scranno a stamparlo.

© Marco Ortolani Kuemmel
racconto pubblicato sulla rivista Rosso Fiorentino, n° 6 - giugno 2004
short story published in Rosso Fiorentino magazine, n° 6 - 2004 june
(thanks to Carpa deejay)

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N 21 B 3.1K C 99 E Jan 29, 2009 F Jan 29, 2009
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Poco dopo l’aurora mi sveglia il latrare dei cani, rabbioso e così presente: eppure così distante, da qualche posto che non conosco, oltre la collina. Dietro le trasparenze della tenda, e oltre la finestra, il cielo è incolore, freddo. Esattamente come qualsiasi nuovo giorno che nasce senza di te.

Mi volto dall’altra parte, richiudo gli occhi e scivolo via alla ricerca della deriva.
Oltre il bordo, alla ricerca del sogno interrotto che già ho dimenticato ma che vorrei tanto ritrovare, fosse solo per il senso di tepore che è ancora qui, simile alla stretta di un abbraccio, proprio dentro di me.

Tu dici sempre che è solo tempo perso, tempo sottratto alla veglia che non tornerà più: che fuori c’è un mondo intero che gira e si avvolge su se stesso, e che aspetta me, che aspetta te. Come un globo in fiamme che corre lungo l’arco dell’orizzonte e non si può fermare.

Lo dici ma non puoi sapere di tutte le notti che – come sospesi fuori dal tempo - camminiamo attraverso le foreste pietrificate dell’Asia, lungo la curva di una spiaggia deserta, attraverso una pioggia battente e verso il tramonto.
Lo dici ma non puoi immaginare di tutte le volte che – mentre camminiamo in questo fitto silenzio che precede l’alba - mi stringi la mano, mi copri di baci, mi mostri come volare.

Camminiamo ancora, ti prego.
Le stelle stanotte sono così luminose e ci mostreranno il sentiero.
Il resto lo faranno i tuoi occhi.
Possiamo andare lontano.


© Marco Ortolani Kuemmel

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N 59 B 4.6K C 40 E May 17, 2008 F Oct 17, 2008
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In attesa nella Caserma del fuoco, fiero nella classica divisa color cenere: la salamandra cucita sul braccio, sul petto il disco della fenice. Ecco che suona la campanella d’allarme: indosso l’elmetto color coleottero e mi lascio scivolare lungo il palo di bronzo.

La grande Salamandra numero 461 attraversa l’intera città - la sirena che ulula - e si arresta davanti alla libreria del centro. Ancora sto infilandomi la nera gabbana antipirica che già l’odore del cherosene mi inonda le narici.

Una gioia appiccare il fuoco: il tubo di rame tra le mani, i libri che sbatacchiano come ali di piccione, quel mio sorriso crudele.

© Marco Ortolani Kuemmel

Tags:   Gli anni della fenice Ray Bradbury François Truffaut 1953 Guy Montag fireman book burner Bright Phoenix Galaxy Science Fiction Clarisse McClellan red rosso short stories marco ortolani kuemmel rouge fahrenheit 461


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