La mia città dorme sempre.
Dorme d'inverno sotto una coperta di nuvole e maestrale, dorme d'estate sotto le sue pietre bianche, mentre lo scirocco le racconta favole.
Io invece da ragazzo non dormivo mai, volevo ascoltarle tutte quelle storie, seduto su una panchina del porto o al tavolo del bar.
A volte mi facevano venire un po' da piangere, ma io non sono uno da lacrime, così su quelle righe calde sulle guance preferivo versarci una birra fresca e fissare quel piccolo acquario dorato nel bicchiere finchè non riprendevo a sognare.
Ma la mia città dormiva, insieme ai vecchi e ai piccioni sotto i portici, vecchi come lo sono io ora, anche se continuo a rimanere sveglio mentre il vento fa la voce grossa perchè sono un po' sordo, ma non c'è nessun altro che lo stia ad ascoltare.
E come tutti quelli che sognano in grande, non mi potevo accontentare di un solo amore.
Ne volevo due, come fossero le mie vele.
Due come i piedi e le gambe, si, perchè volevo mi portassero lontano.
Così mi innamorai della donna che non mi cammina più accanto da quando ha imparato a volare.
Così mi imbarcai su qualsiasi nave avesse come destinazione un nome che facevo fatica a pronunciare.
A lei dicevo sempre che dovevo farlo per vivere, ed era vero.
Io senza il mare non avrei nemmeno avuto un nome, ce l'avevo nel petto, nel sangue, dipinto fino in fondo ai miei occhi perchè mi riconoscesse come figlio e avesse cura di non farmi annegare.
Adesso è qua sul mio viso, fra le macchie di sole e le rughe profonde delle tempeste, mille preghiere a Dio perchè mi facesse sopravvivere, ma lui, secondo me, da brav'uomo di potere, mentre lo pregavo di non farmi morire si faceva la segretaria.
Spero che al mio arrivo in paradiso mi offra almeno un cubano, ed un tramonto straordinariamente arancione visto dall'alto.
Mi sembra una ricompensa sufficiente per non avermi mai ascoltato, ma se proprio posso chiedere una sola cosa, beh, che almeno mi faccia ritrovare lei con addosso quel vestito.
Me la immagino la mia donna, quando mi aspettava con quel vestito così verde, felice e leggero, lei era un aquilone ed io non ho mai voluto una fede perchè al dito tenevo legato il suo filo, stretto stretto da farmi male se me ne andavo troppo lontano.
La immagino chiacchierare con le nuvole come io facevo con l'orizzonte, chissà come abbiamo fatto a trovarci, noi che viviamo col naso verso il cielo.
Forse perchè da lui abbiamo imparato la pazienza delle attese, il prezzo da pagare perchè il viaggio sia buono ed un giorno si possa tornare a casa.
Perchè quando aspetti un ritorno senza data, ogni angolo di strada porta in sè la promessa di incontrare ancora certi occhi, e si riempie di magia. Cominci ad amare persino l'asfalto bollente d'agosto, ami il rumore che avranno i vostri passi con largo, sorridente anticipo.
E ami i luoghi di cui ti riempi il corpo, quella valigia di muscoli ed ossa che ti porti appresso da una vita.
Ma quanto mi piaceva tornare da lei ed aprire quella valigia sul nostro letto, lasciare che i ricordi inondassero la stanza, impregnassero le pareti di quei profumi che avrei voluto farle sentire, di quelle immagini che provavo a descrivere disegnandole con le dita sul suo corpo e nell'aria.
Dentro di me si confondevano e si mescolavano, la mia donna e il mare, si osservavano di nascosto con un misto di gelosia e rispetto come due vecchi rivali, ed io, di quelle sfide, un po' me la ridevo.
Il movimento di uno mi ricordava il respiro dell'altra mentre dormiva tranquilla, quasi abbandonata, così piena e felice dei miei ritorni inaspettati, ma quando osservavo i suoi fianchi ecco che con una fitta di nostalgia pensavo alle onde, e mi ritrovavo punto e a capo.
Per tutti ero un egoista, uno che non sapeva scegliere, ma i miei amori, in fondo, sapevano di farsi un favore.
Lei così piena di meraviglie non avrebbe potuto darmi tutto ciò che avevo sete di vedere e immaginare, nè il mare avrebbe saputo ricreare la bellezza così forte che il mondo acquistava quando avevo lei al mio fianco.
Mi perdonavano a vicenda le lunghe assenze, le riempivano con la propria vita e i propri sogni, erano mutevoli, mai uguali a come li avevo lasciati, e per questo li amavo così tanto.
Stando fermi, noi tre saremmo andati contro alla nostra natura, ma la gente che non ascolta il vento non capisce che il linguaggio delle cose stabili.
L'oceano e l'essenza degli uomini li spaventano, così immensi e pieni di potenzialità, tanto che, pur passando una vita ad esplorarli, non si potranno mai conoscere fino in fondo.
Ma a me quelle scoperte senza fine non facevano paura, io stesso passavo i giorni a reinventarmi, stupirmi di come i limiti potessero essere estesi ed annullati, di come gli ostacoli fossero solo invenzioni della paura per far sì che nessuno abbandonasse il proprio recinto.
Io saltavo, dicevo addio alle sicurezze sventolando un fazzoletto come in certi film in bianco e nero, perchè il muro che avrebbe dovuto separarmi dalla libertà era fatto di carte da buttar giù con un calcio, un sorso di rhum ed un sorriso.
Mano nella mano con la mia donna dalla carnagione di sabbia fine, perchè quei due piccoli nei sulla sua pelle chiara, in fondo, son sempre stati la mia bussola.
Per me, là cominciava e finiva il mondo.
In mezzo... il mare.
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