Una volta, in gara con il komsomolec Ch., a Gambarjan saltò in testa di fare, a nuoto, il giro delI'isola Sevan, lungo tutta la sua carcassa. Il cuore sessantenne non resse, e lo stesso Ch., stremato, dovette abbandonare il compagno e tornare allo start: lì si lasciò cadere, mezzo morto, sulla ghiaia. Testimoni della disgrazia furono Ie pareti vulcaniche dell'isola-fortezza che escludevano ogni idea di approdo...
Che scompiglio ne nacque! A Sevan, saltò fuori, non c'era una sciaiuppa di salvataggio, anche se I'ordine di assegnazione era arrivato già da un pezzo.
La gente correva su e giù per l'isola con I'orgogliosa consapevolzeza dell' irreparabile disgrazia. Il giornale neanche aperto risuonava come stagno tra le mani. L'isola aveva le nausee, come una donna incinta.
Non disponevamo né di un telefono, né di piccioni viaggiatori per comunicare con la terraferma. La lancia era salpata per Elenovka un paio d'ore prirna, e per quanto tendessimo le orecchie non si sentiva neppure lo strepito del motore sull'acqua.
Quando la spedizione di soccorso guidata dal compagno Karin'jan e munita di una coperta, una bottiglia di cognac e altre cose del genere, riportò indietro Gambarjan, che era stato raccolto su uno scoglio, congelato ma sorridente, si levarono applausi. Erano gli applausi più belli che io abbia sentito in vita mia: si festeggiava una persona perché non era ancora cadavere.
Osip Mandel'štam, Viaggio in Armenia, Adelphi ed.
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